Ai primi di aprile il Presidente degli Stati Uniti d’America ha firmato, rendendolo esecutivo (1), un provvedimento con il quale è stata respinta una proposta della “Federal Communications Commission”. La FCC è un’agenzia indipendente del governo degli USA incaricata di regolare le comunicazioni inter-statali di radio, televisione, satellite e via cavo. Lavora nel campo della banda larga, della concorrenza, delle frequenze, dei mezzi di comunicazione, della sicurezza pubblica e del territorio, e della modernizzazione. La proposta della FCC (2) riguardava la protezione della riservatezza dei dati dei clienti dei servizi a banda larga e di telecomunicazione. Senza entrare in troppi particolari tecnici e legali (3) si può dire che lo scopo era quello di mettere sullo stesso piano, per quello che riguarda la protezione della riservatezza, tutti i contenuti che passano attraverso le reti dei fornitori di servizi internet (ISP). Attualmente gli ISP possono registrare i dati che produce chiunque si colleghi alla rete, per esempio l’elenco dei siti web visitati, e questi dati possono anche essere messi in vendita. Se fosse passata la proposta della FCC ciò non sarebbe stato più possibile o, almeno, non più così facilmente. La decisione del parlamento è stata in pratica una vittoria per la lobby dei fornitori di servizi che si erano subito mossi contro questa proposta accampando una scusa molto ben congegnata. Avevano sostenuto, cosa per altro vera, che esistono grosse imprese che operano su Internet che sono soggette a meno vincoli riguardo l’uso dei dati degli utenti e che quindi anche loro volevano il medesimo trattamento.
Un ISP può guadagnare dai dati raccolti in vario modo: per prima cosa vendendoli alle società che profilano le abitudini degli utenti, può reindirizzare le ricerche fatte su Internet verso destinazioni che producano un guadagno, può inserire nelle pagine web visitate annunci pubblicitari che si basano sulle pagine visitate in precedenza, può installare software (sul cellulare) che registra gli indirizzi di tutti i siti visitati, può anche inserire (sul cellulare) una sorta di super-cookies in aggiunta a quelli normalmente usati dai vari siti. Tutte cose, quelle descritte prima, che sono state realmente fatte, almeno negli USA, da alcuni dei maggiori ISP (4).
Come sempre succede in casi del genere c’è sempre qualcuno che tira fuori un qualche tipo di risposta che vada oltre la scontata protesta delle associazioni che si interessano dei diritti digitali. Un programmatore ha immediatamente rilasciato al pubblico una pagina web con due semplici pulsanti: cliccando sul primo il vostro browser inizierà a collegarsi, senza il vostro controllo, a siti scelti a caso e che non hanno necessariamente un qualche collegamento fra di loro, cliccando sul secondo il programma viene fermato (5). Lo scopo è quello di creare un “rumore” informativo tale da disturbare i dati raccolti dall’ISP. L’idea è carina ma crediamo sia utopistico pensare che questo possa far desistere chi colleziona i nostri dati. Stesso discorso per chi, grazie alle norme sulla trasparenza, ha pubblicato l’elenco dei parlamentari che hanno votato a favore degli ISP aggiungendo accanto al loro nome la somma (da 3 mila a 200 mila dollari) che hanno ricevuto come contributo pubblico nelle ultime elezioni da parte delle aziende del settore delle telecomunicazioni (6).
La cosa preoccupante è che questo genere di controlli, a fini commerciali o di sicurezza, hanno assunto una tale invasività, a partire proprio dagli USA, che già oggi è difficile tenerne il conto. Questo nonostante la famigerata “opinione pubblica” abbia delle idee alquanto diverse. Rispondendo a un recente sondaggio (7) il 75% degli intervistati ha dichiarato che non avrebbe permesso agli investigatori di controllare la propria attività su Internet nemmeno per combattere il terrorismo interno.
Il libero mercato, in alcuni casi, ha contribuito a garantire un minimo di libertà all’interno della comunicazione elettronica e questo, ovviamente, non certo per ragioni ideali ma solo perché favoriva e favorisce un sistema basato sui profitti. In altri casi infatti i primi nemici della libertà di comunicazione sono esattamente gli stessi.
Pepsy
Riferimenti
(1) https://www.govtrack.us/congress/bills/115/sjres34
(2) https://www.gpo.gov/fdsys/pkg/FR-2016-12-02/pdf/2016-28006.pdf#page=1
(3) Un breve riassunto della questione si può leggere per esempio qui https://www.govtrack.us/congress/votes/115-2017/h202
(4) https://www.eff.org/deeplinks/2017/03/five-creepy-things-your-isp-could-do-if-congress-repeals-fccs-privacy-protections
(5) https://slifty.github.io/internet_noise/index.html
(6) http://www.theverge.com/2017/3/29/15100620/congress-fcc-isp-web-browsing-privacy-fire-sale
(7) http://www.reuters.com/article/us-usa-cyber-poll-idUSKBN1762TQ